Own Demon by Turbomatt
Tracklist
1. | Squirt Queen | 3:03 |
2. | SC | 3:14 |
3. | 1976 | 7:35 |
4. | Shelbiville | 3:50 |
5. | Autoclone | 3:46 |
6. | Own Demon | 3:54 |
7. | Borrelli's Mule | 4:12 |
8. | Wind Meadow | 5:26 |
9. | Saint's Bones | 3:30 |
10. | Sweet Return | 9:09 |
Credits
released July 10, 2010
Turbo Mark on drums, Turbo Fra on bass, Turbo Ex on guitar. Turbomatt. Ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la psichedelia. Stavolta niente maniaci del surf né sonni da vino rosso. È il demone interiore, "Own Demom", il vero protagonista del secondo disco del gruppo abruzzese, fuori dopo il debutto omonimo del 2009. L'impasto sonoro è come sempre dei migliori: psych rock che va a braccetto con il boogie'n'roll, garage fosco e plumbeo che si tinge di stoner e minimalismo. Suoni pieni e al tempo stesso scarnificati, perché l'assioma base è identico a sé stesso, è l'eterno ritorno: far fluire la musica per quello che è.
Ecco allora i consueti giri melanconici e sognanti (l'inno alle MILF e alle big boobs di "Squirt Queen", la voluttuosa title track, la dissacrante "Saint's Bones"), i riff cattivi che ti restano marchiati a fuoco nel cervello ("SC"). Momenti stranianti, cibernetici e piuttosto cupi (il wah wah ossessivo di "1976" ha tutto un suo perché, come il loop magnetico di "Autoclone"), assolati stati morriconiani fusi con delizie tex mex ("Shelbiville", la bellissima e iper acida "Borrelli's Mule"). La psichedelia non deve mai mancare da tavola, ci pensano quindi "Wind Meadow" e "Sweet Return" (con tanto di "freaks" in appendice) a donarci la doverosa dote di dilatazione e mestizia. Quella malinconia pura, sana, che fa esplodere con necessità il nostro ego.
Un bastimento carico per chi si ciba di Yawning Man, Ché e Ten East. Tutti gli altri potranno scoprire un magnifico universo in bianco e nero, tanto retrò ed eccitante da lasciare a bocca aperta. E occhi chiusi naturalmente, per guardarsi indietro e generare nuova carne.
Alessandro Zoppo
Turbo Mark on drums, Turbo Fra on bass, Turbo Ex on guitar. Turbomatt. Ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la psichedelia. Stavolta niente maniaci del surf né sonni da vino rosso. È il demone interiore, "Own Demom", il vero protagonista del secondo disco del gruppo abruzzese, fuori dopo il debutto omonimo del 2009. L'impasto sonoro è come sempre dei migliori: psych rock che va a braccetto con il boogie'n'roll, garage fosco e plumbeo che si tinge di stoner e minimalismo. Suoni pieni e al tempo stesso scarnificati, perché l'assioma base è identico a sé stesso, è l'eterno ritorno: far fluire la musica per quello che è.
Ecco allora i consueti giri melanconici e sognanti (l'inno alle MILF e alle big boobs di "Squirt Queen", la voluttuosa title track, la dissacrante "Saint's Bones"), i riff cattivi che ti restano marchiati a fuoco nel cervello ("SC"). Momenti stranianti, cibernetici e piuttosto cupi (il wah wah ossessivo di "1976" ha tutto un suo perché, come il loop magnetico di "Autoclone"), assolati stati morriconiani fusi con delizie tex mex ("Shelbiville", la bellissima e iper acida "Borrelli's Mule"). La psichedelia non deve mai mancare da tavola, ci pensano quindi "Wind Meadow" e "Sweet Return" (con tanto di "freaks" in appendice) a donarci la doverosa dote di dilatazione e mestizia. Quella malinconia pura, sana, che fa esplodere con necessità il nostro ego.
Un bastimento carico per chi si ciba di Yawning Man, Ché e Ten East. Tutti gli altri potranno scoprire un magnifico universo in bianco e nero, tanto retrò ed eccitante da lasciare a bocca aperta. E occhi chiusi naturalmente, per guardarsi indietro e generare nuova carne.
Alessandro Zoppo