Stadio Successivo by Giovanni Peli

Fu allora che seppi che avevo deciso di barattare la mia sicurezza con qualcosa d’altro. Fu in quel momento. E qualunque cosa fosse accaduta in futuro sapevo che ormai avevo attraversato un confine, ormai ero altrove.
Jeff Vandermeer, Borne
Ogni brano di un album discografico si chiama anche “traccia”. Ma tutto quello che facciamo, e quello che siamo, è una traccia. Alcune tracce vengono protette da teche, altre sono state nascoste dalla vegetazione, altre sono cancellate dalla risacca. Non lasciamo tracce per gli altri, né per noi stessi, le lasciamo e basta. Tutto quello che facciamo lascia una traccia. Qualcun altro percepirà una presenza.
Ho cominciato a scrivere le canzoni di Stadio successivo, verso la metà del 2020, mentre promuovevo i libri La vita immaginata e Sulla soglia. La scrittura e la successiva preproduzione dei brani sono proseguite durante il 2021 parallelamente alla stesura, pubblicazione e promozione del romanzo breve Fermate la produzione!, pubblicato all’inizio del 2022, periodo in cui incontrai il produttore Michele Marelli.
Ho “messo insieme” molte volte le mie canzoni, fin già dagli anni Novanta, in album-demo pressoché perduti. Stadio successivo è il mio settimo disco “professionale”, ovvero prodotto in uno studio di registrazione, con molta cura, vari collaboratori e varie energie dedicate. Fare dischi è una azione complessa e faticosa ma credo che non ci sia niente di più noioso e velleitario di un artista che rivendica la sua professionalità e che rimarca quanta fatica fa per produrre un’opera, come se dovesse giustificarsi verso i fruitori che molto probabilmente fanno un lavoro meno piacevole per gran parte del loro tempo, o far credere ad altri artisti di essere più meritevoli data la misurabilità della loro fatica, quindi tenterò di non farvi pesare troppo la mia decisione/necessità di raccontarvi cosa sta dietro a Stadio successivo. Fare dischi è un fenomeno complesso di cui, come è giusto che sia, nemmeno chi firma il lavoro ha completamente sotto controllo tutte le fasi. Anche la scelta dei collaboratori fa parte del “lavoro” artistico. Del resto anche scrivendo da soli con la penna su un foglio di carta si mettono in gioco energie non sempre consce. Per quanto mi riguarda la “prima fase” è quella solitaria fatta di carta, penna e uno strumento. In questa fase di certo ho almeno l’illusione di avere sotto controllo qualcosa. La seconda fase è la preproduzione, che in Stadio successivo per la prima volta ho curato personalmente, ancora in solitudine: è la fase in cui si registrano le parti di strumenti e si abbozza l’arrangiamento. Anche se non definitivo, l’arrangiamento di una preproduzione suggerisce l’“intenzione” del pezzo e la “poetica” del sound deve già emergere. L’ideale è portare in studio, dal produttore che si sceglie (in questo caso Michele Marelli, – che essendo anche ottimo batterista, fornisce la sua chiave di lettura dei brani anche attraverso il suo strumento –) una preproduzione il più possibile chiara, che lui interpreterà a sua volta e darà all’artista e ai musicisti (in questo caso solo Emanuele Maniscalco – e Silvio Uboldi per un pezzo –, poiché Stadio successivo l’ho sentito come un percorso molto personale e per certi aspetti “chiuso”, una sorta di nuova-vita-quotidiana e non una festa eccezionale, come lavori precedenti in cui mi sono sentito di coinvolgere molte persone) tutte le indicazioni per “rifare meglio” ciò che in nuce c’era già, oppure per evidenziare idee inespresse, a volte, appunto, addirittura inconsapevoli. Il produttore a cui ci si affida deve insomma “tirare fuori” il meglio dai musicisti coinvolti, rendere precise le intuizioni dell’artista, in qualche modo “tradurle” in un linguaggio coerente e quindi fruibile da chi abbia la curiosità di ascoltarlo. È molto di più che “passare in bella copia”.
Quando ho presentato il progetto dal titolo Stadio successivo sono andato al Monolith Studio con una ventina di pezzi “preprodotti” con Ableton. Avevo buttato giù tante idee da riempire due album almeno uno di canzoni e uno di uno strano genere che mescolava l’ambient music alla canzone. Crudelmente Michele e io abbiamo scartato molte idee e individuato i dieci pezzi più convincenti. Crudeltà di questo tipo sono indispensabili per creare un’opera coerente e che abbia una direzione precisa. Per questo un artista che vuole migliorare le potenzialità dei suoi pezzi e decide di lavorare con un produttore non deve mai affezionarsi troppo a versioni precedenti di un pezzo. Perché la forma ideale del pezzo, molto probabilmente, non è quella che lui ha creato. Mi sono rimaste nel cassetto parti di chitarra che reputavo più che buone che non ho potuto utilizzare, per esempio. E quante parole vanno perdute prima di trovare il testo giusto…
Il lavoro di rielaborazione delle mie idee, il primo passo importante effettuato con Michele, è finito a ottobre 2022. Avevo risuonato i bassi e le chitarre acustiche e in alcuni casi creato nuove parti di chitarra elettrica, avevo ricantato tutte le linee vocali soliste e avevamo praticato un primo editing su tutte queste parti; Michele ha risuonato tutte le parti di batteria e inserito parti di drum machine. Eravamo pronti per il passo successivo della produzione datato, 18 novembre: l’intervento del jazzista Emanuele Maniscalco. Avrebbe dovuto riprodurre “il senso” delle mie parti di tastiere programmate in precedenza e arricchire ogni pezzo. Avevamo concordato questa strumentazione: pianoforte, sintetizzatore ob6, sintetizzatore Poly-D, philicorda e un microfono pronto per i cori. Nuove interpretazioni da aggiungere. Avrebbe avuto anche ampio margine di scelta e possibilità improvvisative, date le sue qualità da fuoriclasse e il suo gusto che io e Michele conoscevamo e che sentivamo calzante per la sonorità che avevamo in mente. Si sarebbe aggiunto un altro punto di vista dello stesso pensiero.
Il 9 dicembre Michele ha finito il mix e insieme abbiamo ascoltato il risultato di questa ulteriore fase interpretativa, dopo poche settimane ha masterizzato e mi ha spedito le tracce per l’ultimo ascolto. Tutti i pezzi avevano acquisito il giusto mordente, in alcuni casi una vera e propria nuova vita. Ma qual è il fine ultimo di queste fasi, di questo stratificarsi di interpretazioni, di questo lavoro che nasce per sua natura multidisciplinare? Secondo me è la messa in scena sonora di un testo. Negli anni mi sono fatto l’idea che il significato della canzone stia soprattutto nella parte letteraria. E questo non significa assolutamente che la parte musicale sia di secondaria importanza. Anzi, in alcuni casi può essere strabordante, vertiginosamente sviluppata e di durata ben maggiore della parte cantata (o recitata). Ma anche in questo caso è una sorta di trasposizione di un’idea letteraria. Secondo me, inoltre, solo uscendo dal cosiddetto “genere canzone”, e mescolando svariati ingredienti si può trovare (o creare) musica “leggera” interessante. Ma il pensiero resta non-musicale, è letterario. “Di cosa parla la canzone?”, “Cosa vuoi dire con questa canzone?”, queste domande sono legittime e sono le più frequenti. La canzone è un genere letterario e musicale. Il pensiero di un compositore – per intenderci: un compositore di musica pura, di musica “colta” – è di natura musicale. Lo può tradurre in parole, ci sono le parole giuste per dirlo, le parole della musica, dell’analisi musicale, della musicologia. Anche lui può servirsi di un testo, ma spesso piega il testo alla sua filosofia della musica. Nella canzone c’è il procedimento inverso. Forse è per questo che un cantautore ha potuto vincere il Premio Nobel per la Letteratura (ed è stato un avvenimento epocale e necessario, oltre che meritato dall’artista). Un altro buon esempio di musica non assoggettata a un pensiero letterario è l’espressione degli improvvisatori, che sentono e trasferiscono direttamente nei suoni il loro pensiero: qui certo la letteratura non è in gioco e il pensiero può essere totalmente musicale. Anche nel caso, non so quanto recondito, che il musicista improvvisi sull’onda dell’emozione suscitatagli da qualche avvincente lettura. Succede anche, va detto, che nasca un’idea musicale come prima cosa: anche a me è successo proprio in questo disco due o tre volte, soprattutto perché ho utilizzato strumenti nuovi, con i quali, mentre scrivevo, andavo prendendo confidenza, e il timbro particolare di questi strumenti mi ha portato a immaginare progressioni armoniche e melodie, prima di avere un’idea letteraria. Tuttavia, molto presto, ho trasferito queste sensazioni in un’idea letteraria, e quindi vale ancora ciò che ho detto sopra: l’idea letteraria è diventata portante e la musica è servita da materiale con cui ho messo in scena l’idea.
È stato difficile, per questo album, trovare la scaletta giusta. L’album ha un suo tempo interno e la struttura deve adattarsi a questo tempo. Mi piace pensare che la musica (tutta la musica) sia già nell’aria, attorno a noi, dobbiamo solo raccoglierla, come si raccoglie nell’acqua del lago un giocattolo caduto, dobbiamo prendere la musica con le mani e condividerla. Eccola, senti?
Tracklist
1. | Fede | 3:29 |
2. | Grave pericolo | 3:48 |
3. | La voce in fondo | 5:15 |
4. | Stadio successivo | 3:38 |
5. | Non trovo le cose | 4:45 |
6. | Consumo | 3:46 |
7. | The Usual Siren | 3:40 |
8. | Di buono ha solo la ferocia | 7:03 |
9. | Plastica | 2:56 |
10. | Limpido, così atteso | 8:23 |
Credits
Giovanni Peli: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, basso a scala corta, armonica, programmazioni.
Michele Marelli: batteria e drum machine
Emanuele Maniscalco: sintetizzatori Ob-6 e Poly-D, pianoforte, philicorda, cori.
Silvio Uboldi: tastiere in Di buono ha solo la ferocia.
Testi e musica di Giovanni Peli.
Prodotto da Giovanni Peli e Michele Marelli.
Registrato, mixato e masterizzato al Monolith Studio di Brescia.
Fotografie di Fabiana Zanola
Il ricavato andrà all'Associazione Culturale Lamantica, per produrre altri libri su carta azzurra.